Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Cass. Sez.V, del 12-4-2019 n.. 28320 - E' reato portare un fucile da caccia per scopi diversi dalla caccia

È interessante vedere come si formano le giurisprudenze sbagliate e quali sono le vie (non certo del Signore, qualche volta del semidio  Coalemo) che portano la Cassazione alla perdizione!
   Spesso vi sono giurisprudenze consolidate e improvvisamente arriva un giudice che ha una diversa idea; fatto doveroso se le basi del ragionamento sono cambiate per variazioni del quadro normativo. Ma se il quadro non è mutato, si possono solo fare queste ipotesi:
   a- i primi giudici non erano all'altezza e finalmente è arrivato un genio; capita!
   b- i primi giudici erano all'altezza, erano di quelli della vecchia scuola, ed è invece il nuovo arrivato ad essere carente;
   c- tutti sono stati carenti e non hanno visto una terza ipotesi migliore delle loro.
   Molte volte ho dovuto pensare a quella favoletta, degna di Esopo, del violinista che attraversa la foresta e si trova circondato da un branco di leoni. Pensa di salvarsi con il potere della musica, prende il violino, e inizia a suonare; ed effettivamente tutti i leoni rimangono fermi ad ascoltarlo. Dopo qualche minuto arriva il vecchio leone che gli salta addosso e lo sbrana. Gli altri leoni si guardano, scrollano la testa desolati e si dicono "ecco, è arrivato il sordo!"

   Queste sono considerazioni generali che ho fatto spesso, ma una recente sentenza mi ha lasciato veramente perplesso.

   Il problema affrontato dalla sentenza, che riporto in calce, è il seguente: Tizio titolare di licenza di caccia, viene, condannato per aver ferito una persona usando un fucile da caccia; viene condannato anche per aver portato illegalmente il fucile in quanto egli con esso poteva solo cacciare.
   Per far capire meglio il problema lo spiego in modo elementare: è come se la Cassazione avesse rinnegato decenni di storia scoprendo che chi ha una licenza di caccia non può trasportare armi, non può fare tiro a volo e l'arma la può portare solo per cacciare; guai se la usa per sparare in aria!  
   Se così fosse, in forza di questa sentenza, dovrebbe essere condannato per porto illegale di fucile anche il cacciatore che compie un atto di bracconaggio o chi porta il fucile in un luogo ove non si può cacciare, o chi va a caccia solo con la licenza di tiro a volo. Ciò in perfetto contrasto, con la volontà chiara del legislatore di punire le condotte stesse come semplici violazioni alla legge sulla caccia e sebbene in precedenza la Cassazione sia stata chiara e costante nell'affermare il contrario. Seguendo questo ragionamento si potrebbe tranquillamente affermare che con la patente di guida si commette il reato di guida senza patente se con l'auto si va a commettere un furto!
   Sono aberrazioni del diritto che il giudice ha il dovere di reprimere e non di diffondere perché aprono scenari da incubo; ogni agente di PS potrebbe fernare un cittadino, con regolari licenze di porto e patenti di guida, e chiedergli perché ha con sé un fucile o perché guida un'auto; e se non gli piace la risposta lo denunzia! E in Cassazione trova anche chi lo condanna!.
   Circa la giurisprudenza anteriore in materia si veda:
   Sez. 1, n. 19771 del 24/04/2008; L'autorizzazione al porto di fucile rilasciata per l'esercizio della caccia rende legittimo il porto di detta arma, anche se esso è attuato non per l'attività venatoria ma per fini diversi, compresi quelli non leciti. (In motivazione, la Corte ha precisato che le finalità per le quali il titolare di una licenza si avvalga dell'autorizzazione concessagli sono, in genere, penalmente irrilevanti, ferma restando la sanzionabilità in via amministrativa - o penale - dell'eventuale abuso accertato, che può essere colpito da provvedimenti sospensivi o ablativi dell'autorizzazione).
   Sez. 1, n. 8838 del 08/01/2010; L'autorizzazione al porto di fucile rilasciata per l'esercizio della caccia rende legittimo il porto di detta arma, anche se esso è attuato non per l'attività venatoria ma per fini diversi, anche non leciti, ferma restando la sanzionabilità amministrativa e penale dell'eventuale abuso accertato, che può essere colpito da provvedimenti sospensivi o ablativi dell'autorizzazione.
   Sez. 3, n. 14749 del 20/01/2016, L'autorizzazione al porto di fucile rilasciata per l'esercizio della caccia rende legittimo il porto di detta arma, anche se esso è attuato per esercitare, illecitamente, l'attività venatoria in periodo di divieto generale, ferma restando la sanzionabilità dell'eventuale abuso accertato nei confronti del titolare, che può essere colpito da provvedimenti sospensivi o ablativi dell'autorizzazione.

   Ma l'estensore della sentenza in esame dribbla la trascurabile circostanza di una trentina di giudici che prima di lui la pensavano in modo opposto, forse perché erano diversamente abili, e proclama di dissentire.
   L'estensore cita a sostegno del suo dissenso la seguente decisione:
Sez. I n. 44419 del 01/10/2015; L'autorizzazione al porto di un'arma per un uso sportivo non rende legittimo il porto della stessa ove effettuato per finalità diverse da quella consentita dal provvedimento amministrativo. (Fattispecie di minaccia della persona offesa mediante l'utilizzo di pistola da parte del titolare della licenza di porto dell'arma per uso sportivo).
   Peccato che egli, evidentemente parlando di porto di armi senza saper bene di che cosa parlava (si consideri che la V sezione di rado si occupa di armi, a cui invece si è dedicata la sez. I a cui sono riferibili il 95% delle massime in tale materia), non si è accorto che la massima c'entra come i cavoli a merenda in quanto riguarda il caso di un imputato che portava una pistola pur essedo titolare solo di una licenza di porto di fucile per il tiro a volo! E si scopre anche che l'estensore, leggendo la massima, ha creduto di capire che esista una licenza per il "porto di armi sportive" e che essa autorizza al porto di pistole per uso sportivo.
   Sia chiaro che la licenza di porto di armi sportive non esiste e che non esiste una licenza che consenta il porto di pistole per usi diversi dalla difesa personale (libero poi il titolare di andare a sparare anche ai bersagli perché "nel più sta il meno").  Il che rendo ovvio che se la legge riconosce ufficialmente le discipline sportive del tiro con la pistola è perché sa che con la licenza di porto di pistola per difesa autorizza anche a portare queste armi per attività sportive.
   È comprensibile come con queste premesse sia facile uscire dalla scienza giuridica per entrare nel regno della "scienziaggine", come la definisce scherzosamente il matematico Odifreddi nel suo noto Dizionario.
   È inconcepibile che un giurista si metta a fare complesse disquisizioni su una fattispecie senza prima averla capita ed approfondita.
   L'estensore si è chiaramente lasciato travolgere dall'amore di tesi, sostenendola con affermazioni surreali. Egli purtroppo lascia la sua materia, il diritto penale, e risolve il caso con il diritto amministrativo e con le decisioni del Consiglio di Stato. Forse ignora che là giudicano anche ex funzionari di PS che hanno studiato diritto delle armi alla scuola di polizia e che sono rimasti con l'imprintig di considerare solo e sempre il cittadino come un suddito sotto tutela.
   Si legge quindi, orribile dictu, che il porto di armi è per principio generale vietato, salvo casi di apposita autorizzazione, perché il codice penale ne punisce il porto. Il codice penale in questo caso non ha fissato condotte, ma ha solo comminato le pene e quindi si deve far riferimento alle leggi id PS. Ma il TULPS, che regola queste autorizzazioni, pur con la rigidità del Ventennio, dice chiaramente che chi è capace e onesto ha diritto di essere autorizzato a portare armi e nessuno gli può negare legittimamente la licenza.
   È vero che il diritto amministrativo ha costruito un groviglio indistricabile di teorie per distinguere i diritti (tutelabili di fronte al giudice ordinario) e gli interessi legittimi (tutelabili solo di fronte al giudice amministrativo) e i diritti affievoliti, ma ci si dovrebbe rendere conto che dal 1865 i tempi sono cambiati e il cittadino non è più suddito. Si può ammettere che di fronte a comportamenti discrezionali della pubblica amministrazione sia opportuno chiedere il giudizio di un giudice ammnistrativo (ma sia chiaro che il Consiglio di Stato venne creato come cane da guardia della P.A., composto da funzionari, incaricati di controllare la legittimità dell'azione amministrativa e non la tutela dei diritti del cittadino a cui non venivano rimborsate le spese neppure quado aveva ragione!); però se una legge dice che ogni settantenne può richiedere la tessera per viaggiare gratis sul treno, il settantenne ha diritto ad avere la tessera, ha diritto di ricorre al giudice civile per farsela rilasciare e che ogni discorso sui poteri della pubblica amministrazione oppure se la tessera è una autorizzazione è una concessione, non riguardano il cittadino che è al di fuori della P.A. e chiede solo l'applicazione una norma  non soggetta ad alcuna discrezionalità. Certe tesi assurde è bene lasciarle esporre dal Consiglio di Stato, ma è indecente che trovino spazio presso il giudice ordinario.
   La sentenza n. 44419 del 01/10/2015, pur con parecchie imprecisioni in materia di porto di armi!) era corretta perché la licenza di tiro a volo autorizza solo al porto di fucile e al trasporto di pistole e quindi il reo non aveva alcun titolo, neppure ipoteticamente valido, per portare una pistola; diversi sono i requisiti necessari per ottenere una licenza di porto di fucile rispetto a quelli richiesti per un porto di pistola per difesa personale. Se l'estensore, invece di leggersi sentenze astratte del Consiglio di Stato, avesse valutata la situazione concreta in base alle norme di legge, avrebbe scoperto che la licenza di porto di fucile è nata come licenza generale per il porto di arma lunga per difesa personale la quale, pagando le dovute tassa, poteva ANCHE essere usata per caccia e che poi, nel 1986, si è scorporata la licenza di porto di fucile per il tiro a volo solamente per rendere chiaro che il tiratore non doveva pagare la tasse venatorie se non voleva cacciare; la legge stabiliva chiaramente che chi  aveva la licenza di caccia doveva e poteva fare meno della licenza di tiro a volo, visto che requisiti e il contenuto della licenza erano identici in entrambi ì casi. Ed avrebbe anche scoperto che la legge sulla caccia del 1992 punisce chi va caccia senza aver pagato le tasse di cc.gg. (quindi con l'arma da caccia "degradata" ad arma per il tiro) è punito con una modesta sanzione amministrativa.

    Ecco la parte della motivazione della sentenza della Cass., Sez.V, del 12-4-2019 n.. 28320 che ci riguarda

Ritenuto in fatto
   Con sentenza del 02/05/2018 la Corte d'appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado, quanto alla affermazione di responsabilità di Antonino ***, in relazione ai reati di cui agli artt. 582, 583, primo comma, n. 1 e ù 585, 577, n. 4, cod. pen. (capo A), 12 e 14 I. n. 497 del 1974, 61, n. 1, cod. pen. (capo B), 13 I. 497 del 1974, 61, n. 1 cod. pen. (capo C), provvedendo a rideterminare la pena in senso migliorativo per l'imputato.
   Nell'interesse di quest'ultimo è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi.
   Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al reato di cui al capo B), richiamando l'orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale l'autorizzazione al porto di fucile per l'esercizio della caccia rende legittimo il porto dell'arma anche se strumentale a finalità diverse, persino illecite
(omissis).
Considerato in diritto
   Il primo motivo di ricorso è infondato.  Ritiene il Collegio di dare continuità all'orientamento di recente espresso da Sez. 1, n. 44419 del 01/10/2015 (dep. 2016) secondo la quale l’autorizzazione al porto di un'arma per un uso sportivo non rende legittimo il porto della stessa ove effettuato per finalità diverse da quella consentita dal provvedimento amministrativo.
   Tale decisione muove dalla condivisa premessa che il nostro ordinamento non riconosce come diritto soggettivo pubblico la possibilità per il cittadino di portare un'arma da fuoco fuori dalla propria abitazione. Al contrario, il porto delle armi - in difetto dello specifico provvedimento della Autorità della Pubblica Sicurezza che, ai sensi dell'alt. 42, r.d. 18/06/1931, n. 773, lo consenta - è in generale affatto vietato e costituisce condotta illecita. In tale prospettiva può, quindi, affermarsi che è proprio il rilascio della licenza il fatto costitutivo del "diritto", per il suo titolare, di portare fuori dalla propria abitazione un'arma.
   La disciplina nazionale in materia di porto e trasporto di armi comuni da sparo, infatti, consente di rilasciare la licenza di porto d'arma solo per scopi di difesa personale, per il tiro a volo (uso sportivo) e per le altre attività previste dalla legge n. 157 del 1992.
   In particolare, l'art. 42 del r.d. n. 773 del 1931 e gli artt. 61 e seguenti del r.d. 06/05/1940, n. 635, recante l'approvazione del regolamento per l'esecuzione del t.u.l.p.s. disciplinano la licenza di porto d'armi per esigenze di difesa personale; la legge 25/03/1986, n. 85, recante norme in materia di armi per uso sportivo, regolamenta l'uso di armi per tale finalità; infine, è la I. 11/02/1992, n. 157 disciplina la licenza di porto d'arma per uso di caccia.
   Il rigore e il significato di siffatta regolamentazione sono stati riconosciuti anche dalla giurisprudenza amministrativa.
Come anche di recente ribadito dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. Ili, 22/08/2018, n. 5015), in coerenza con la propria costante giurisprudenza, la regola generale è il divieto di detenzione delle armi; pertanto, l'autorizzazione a detenere armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, ma assume contenuto di permesso concessorio in deroga al divieto di portare armi sancito dall'art. 699 cod. pen. e dall'alt. 4 comma 1, I. 18/04/1975 n. 110 (cui sì possono aggiungere gli artt. 12 e 14, I. 497 del 1974).
   Da tali premesse discende che la cd. autorizzazione di polizia rimuove, solo in via di eccezione, tale divieto in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'autorità di pubblica sicurezza prevenire e che spetta al prudente apprezzamento di detta Autorità di pubblica sicurezza l'individuazione della soglia di emersione delle ragioni impeditive della detenzione degli strumenti di offesa.
   Pertanto, l'affermazione secondo cui sarebbero penalmente irrilevanti le finalità per le quali il titolare della licenza porta l'arma fuori dalla propria abitazione (v., per tale considerazione (Sez. 3, n. 14749 del 20/01/2016; Sez. 1, n. 8838 del 08/01/2010; Sez. 1, n. 19771 del 24/04/2008) non è condivisibile, in quanto non si tratta di dare rilievo alle motivazioni interiori dell'autore della condotta, ma di valutare se quest'ultima sia o non consentita dal provvedimento concessorio che la permette.
   In difetto di siffatta corrispondenza, il porto d'armi deve ritenersi, in conformità alla indicata regola generale, vietato.
   P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 12/04/2019.

(Bolzano 1° settembre 2019)


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